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Il Presepe
Il Natale nella tradizione cristiana ha origini antiche e s’intreccia ad altre ricorrenze di tempi antichissimi. Il 25 dicembre nel mondo germanico era celebrata la festa, per il passaggio da un ciclo stagionale ad un altro, di Yule. Nello stesso periodo, tra il 17 e il 23 dicembre, gli antichi romani celebravano i “Saturnalia”, un periodo di assenza di guerre e lotte sociali per feste e banchetti: in questi sette giorni si celebrava il dio Saturno (divinità dell’agricolturaci si dava alla pazza gioia e si scambiavano doni.
Nel 274 d.C. l’imperatore Aureliano proclamò il 25 dicembre Festa della Vittoria del Sole (Dies Natalis Solis Invicti),legata al culto di Mithra, divinità connessa alla luce e alle tenebre.Anche in questa occasione si scambiavano doni d’ogni tipo
La data del Natale nel calendario cristiano fu stabilita nel 337 d.C. , prima di questa data non si conosce una festa della natività del Cristo e la festa del 25 dicembre fu istituita per contrapporre una celebrazione cristiana ai culti pagani.
E’ ormai accertato che il Cristo non sarebbe nato duemila e venti anni fa, ma circa sette anni “prima dell’anno zero”. Tale anomalia si deve al conteggio errato di Dionigi il Piccolo, un monaco del sesto secolo che decise di dividere la storia umana in due periodi: avanti e dopo Cristo. Anche sulla data precisa della nascita di Gesù il Nazareno vi sono parecchi dubbi: si suppone che il periodo corretto della nascita del Cristo possa essere quello primaverile. Una data precisa non è in ogni caso stata tramandata (in nessun testo sacro), ma tutto ciò non toglie nulla al significato del Natale.
La rappresentazione con statuine delle divinità trova le sue origini fuori del cristianesimo: le grandi opere che raffiguravano gli dei, esposte nei templi romani, non impedirono all’uomo comune di avere una raffigurazione “casalinga”, da tenere nell’Atrium, dove era posto il focolare. Queste raffigurazioni erano poste su altarini dedicati ai Lari, le divinità tutelari del focolare domestico.
Negli Atti degli Apostoli troviamo menzione di quest’usanza, e Paolo ebbe degli scontri con gli artigiani di Efeso perché la sua predicazione, a loro dire, impediva la vendita di statuine d’argento rappresentanti Artemide (Atti 19, 24 e ss.).
In Italia il culto cristiano delle statue approdò probabilmente con l’arrivo dei monaci orientali dell’ordine di san Basilio, scacciati, assieme agli artigiani che costruivano queste statue, dall’imperatore d’Oriente Leone III, che combatteva il culto di immagini sacre. La carovana esiliata si stabilì dapprima a Napoli, nella zona di San Gregorio Armeno.
Molti altri simboli del Natale sono intimamente legati a credenze e miti, ad esempio la tradizione di mangiare dolci di mandorle, nocciole o castagne è strettamente collegata all’antica credenza che ciò favorisca la fertilità. Anche l’usanza di mangiare il panettone è legata all’idea che i chicchi d’uva passita all’interno richiamino l’immagine delle monete d’oro, e augurino ricchezza a chi li mangia, così come le lenticchie a Capodanno.
Tre sono i simboli più rappresentativi del Natale: il ceppo, l’ albero e il presepe.
Nella più antica tradizione popolare, il centro della festa era costituito dal ceppo. Gli antichi popoli germanici, i Teutoni in particolare, festeggiavano il passaggio dall’autunno all’inverno bruciando enormi ceppi nei camini e piantando davanti alle case un abete ornato di ghirlande. La tradizione si estese poi presso molti altri popoli dell’Europa e cominciò ad accompagnare la ricorrenza natalizia.
Nell’ accensione del ceppo, che rimaneva sul focolare fino all’inizio del nuovo anno (poi sino all’Epifania), si fondono due elementi propiziatori: il valore del fuoco, che rappresentava l’immagine del sole, e il simbolico consumarsi del tronco, del vecchio anno con tutto ciò che di male vi si era accumulato. Il ceppo augurale è stato sostituito, col passare dei secoli, dal tradizionale abete di Natale, inizialmente addobbato con candele.
Il Presepe è la rappresentazione tridimensionale e scenica della Natività. Sono gli evangelisti Luca e Matteo i primi a descrivere la Natività, nei loro brani c’è già tutta la sacra rappresentazione: l’umile nascita di Gesù il Nazareno nato in una mangiatoia, “perché non c’era per essi posto nelle locande” (in quei giorni Betlemme brulicava di gente per via del censimento ordinato da Cesare Augusto). II termine mangiatoia ha fatto si che la rappresentazione tradizionale fosse in una stalla o in una grotta il luogo del sacro evento. L’immagine della grotta è un ricorrente simbolo mistico e religioso per molti popoli, soprattutto mediorientali: si credeva che anche Mitra, divinità persiana venerata anche tra i soldati romani, fosse nato in una grotta il 25 dicembre.
Esclusa la Sacra Famiglia, gran parte delle figure e delle ambientazioni utilizzate nel Presepe derivano dai Vangeli apocrifi e da misteriose memorie. I Vangeli canonici, infatti, parlano della natività in modo molto vago tralasciando molti particolari scenografici.
Il bue è da sempre un animale sacro in Asia orientale e in Grecia, dove interpretava anche il ruolo sacrificale. Esso è simbolo di carattere forte, ma sottomesso, per questo vuole rappresentare il popolo dei futuri cristiani, fedele al proprio mandato fino alla rinuncia perfino della vita. Anche l’asino è un animale importante nel contesto delle narrazioni bibliche: Dioniso e i suoi seguaci lo cavalcavano, in Grecia era sacrificato nel recinto sacro di Delfi, nel Libro dei Numeri è conosciuto come l’animale che capisce Dio più di quanto riescano gli stessi uomini (Numeri 22,22), lo stesso Cristo entrò in Gerusalemme cavalcando un’asina bianca (Matteo 21,2).
La prima descrizione, vera e propria, del luogo dove nacque Gesù, la diede san Girolamo, il quale, nel 404, indicò nel territorio di Betlemme una grotta con tanto di mangiatoia scavata nella roccia e supportata da piedi di legno.
La raffigurazione della Natività ha origini lontanissime infatti i primi cristiani usavano scolpire o dipingere le scene della nascita di Cristo nei loro punti di incontro (ad esempio nelle Catacombe).
La prima vera rappresentazione della Natività si ritrova nell’affresco delle catacombe di Santa Priscilla (siamo nel II sec. d.C.), che raffigura la Madonna con in grembo il Bambinello, per la presentazione ai re magi. Accanto si trova un uomo, forse san Giuseppe o, forse, il profeta Isaia, mentre in alto compare una stella ad otto punte.
Nei secoli successivi, sino al quinto circa, molti sono gli affreschi catacombali rappresentanti analoghe Natività o Epifanie. Tra questa produzione ricordiamo il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio a Siracusa, oppure quello di Isacio, esarca armeno in Ravenna, oppure ancora le effigi parietali del III secolo nel cimitero di S. Agnese. Curioso è l’affresco delle catacombe di San Sebastiano (del IV sec. d.C.), dove mancano Maria e Giuseppe ma compare una sorta di mangiatoia con il bue e l’asino. Anche gli affreschi delle catacombe di Pietro e Marcellino e di Domitilla in Roma mostrano delle novità: i magi sono quattro nelle catacombe di Domitilla, mentre in quelle di Pietro e Marcellino sono due.
Il vangelo apocrifo armeno assegna ai re magi, che secondo il testo erano tre sacerdoti persiani, i nomi di Gaspar, Melkon e Balthasar . Si tratta di tre sapienti che rappresentano le tre età dell’uomo: gioventù, maturità e vecchiaia e delle tre stirpi in cui si divide l’umanità: la semita (rappresentata dal re giovane), la giapetica (rappresentata dal re maturo) e la camita (rappresentata dal re moro) secondo il racconto biblico. Anche i doni dei Magi sono interpretati con riferimento alla duplice natura di Gesù e alla sua regalità: l’incenso, per la sua divinità, la mirra, per il suo essere uomo, l’oro perché dono riservato ai re.
Fino al XIII secolo molte rappresentazioni della Natività raffigurate nei bassorilievi italiani presentano la Vergine distesa accanto al Bambino poggiato nella mangiatoia. Queste rappresentazioni costituiscono perciò una testimonianza dell’influenza esercitata, specie nell’Italia mediterranea, e per diversi secoli, dalla Chiesa d’Oriente. Sorse infatti una polemica tra la Chiesa di Antiochia e quella di Alessandria: Nestorio sosteneva che Maria era madre di Gesù-uomo e non di Gesù-Dio, mentre Cirillo insisteva sulla divinità di Maria. L’nfluenza di Nestorio fu solennemente condannata nel concilio di Efeso del 431, ma la tesi influenzò per lunghi secoli i Paesi dell’Oriente, che rappresentavano la Madonna distesa accanto al Bambino in atteggiamento materno. Solo dopo il XIII secolo, con l’affermarsi del culto mariano, si ritenne che il parto della Vergine non poteva essere rappresentato come quello di una comune mortale: da allora Maria e Giuseppe furono rappresentati in ginocchio, in atto di adorare il Bambino. Le figure che avevano trovato spazio accanto alla “Sacra famiglia”, scomparvero le levatrici, la nutrice, Eva, la Sibilla, personaggi che avevano trovato spazio in tali raffigurazioni. Esempi sono il bassorilievo del sarcofago di Adelphia e Valerio del III e VI secolo a Siracusa, e la Natività di Nicola Pisano sul pulpito del Duomo di Siena.
Quando il cristianesimo divenne religione ufficiale le raffigurazioni della Natività attraverso affreschi, dipinti o bassorilievi andarono ad arricchire le pareti delle prime chiese. Tra queste: la Natività e l’Adorazione dei magi del dittico d’avorio a cinque parti con pietre preziose del V secolo che si ammira nel duomo di Milano e i mosaici della Cappella Palatina a Palermo e della basilica di S. Maria in Trastevere a Roma. San Francesco d’Assisi fu il primo a rappresentare il Presepe vivente. Nel Natale del 1222 Francesco si recò a Betlemme dove partecipò alla funzione liturgica della nascita del Cristo. Ne rimase talmente colpito che, tornato in Italia, chiese a Papa Onorio III di poter rappresentare, sotto forma di dramma sacro, la liturgia della nascita del Cristo per il Natale successivo. Ma il pontefice, accordò solo la celebrazione della messa di Natale in una grotta naturale invece che in chiesa. Francesco allora si accordò con Giovanni Velita, signore di Greccio:
Voglio celebrare teco la notte di Natale. Scegli una grotta dove farai costruire una mangiatoia ed ivi condurrai un bove ed un asinello, e cercherai di riprodurre, per quanto è possibile la grotta di Betlemme! Questo è il mio desiderio, perché voglio vedere, almeno una volta, con i miei occhi, la nascita del Divino infante.
specie di sonno profondo. […]Terminata quella veglia solenne, ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia
Il “Presepe di Greccio“, mai più replicato dallo stesso Francesco, fu in primo luogo una Messa solenne, tuttavia l’episodio, magistralmente rappresentato da Giotto nell’affresco della Basilica Superiore d’Assisi, ebbe grande risonanza, tanto da stimolare l’allestimento di altri presepi. La prima realizzazione documentata di un Presepe con personaggi a tutto tondo risale al 1283 per opera dello scultore e architetto Arnolfo di Cambio che scolpì otto statuette in marmo rappresentanti i personaggi della Natività. Tale Presepe si trova ancora nella basilica romana di S. Maria Maggiore. Il Presepe fu commissionato dal primo papa francescano, Niccolò IV (1288-1292), particolarmente devoto al culto della Natività come insegnato da san Francesco d’Assisi a Greccio, e destinato alla Basilica che custodiva la reliquia della “Sacra Mangiatoia”.
Cronologicamente il secondo Presepe fu quello donato dalla regina Sancia nel 1340 alle clarisse per la loro nuova chiesa. Di tale Presepe, a figure staccate, in legno, dipinte e miniate con motivi geometrici, è giunta a noi soltanto la Madonna giacente (ora nel museo di San Martino di Napoli). Di un altro Presepe, realizzato in legno grezzo alla fine del 1200, rimangono cinque figure staccate, a grandezza naturale, furono poi splendidamente decorate dall’artista Simone de’ Crocifissi nel 1370. Esse sono tutt’ora custodite nella Basilica di Santo Stefano a Bologna.
I primi presepi del Trecento sono in realtà delle grandi figure in marmo, legno o terracotta, collocate stabilmente in una cappella ed esposte tutto l’anno, caratteristiche, queste, che il Presepe manterrà fino alla fine del XVI secolo.
All’inizio del Cinquecento, alle figure della Madonna, di san Giuseppe, di Gesù bambino e del bue e l’asinello, si aggiunsero altri prsonaggi ed elementi decorativi: angeli, pastori, la stella cometa, i magi, e lavandaie, fabbri, pescatori, musici, fornai, calzolai, botteghe, taverne e animali. Questo grazie all’opera di San Gaetano Thiene che cominciò ad arricchire la rappresentazione con personaggi che appartenevano al mondo antico, ma anche all’epoca contemporanea, senza alcun timore di eventuali anacronismi, dando vita a quella che sarebbe rimasta una delle principali caratteristiche del Presepe, cioè la sua atemporalità. Grazie a san Gaetano, i presepi diventano così lo specchio della cultura contemporanea che li produce, riflettendo la società del tempo e gli aspetti più popolari della realtà quotidiana. Il più fulgido esempio è la tradizione presepiale napoletana che aggiorna continuamente la rappresentazione con nuovi personaggi presi dalla quotidianità e dalle mode del momento. Così accanto ai tradizionali pastori troviamo Totò, Maradona o i politici più popolari del momento.
Il Concilio di Trento stabilì norme precise per ilculto dei santi e delle reliquie, accettando la rappresentazione del Presepe quale espressione della religiosità popolare.
I Gesuiti, il nuovo ordine religioso costituito in quello stesso Concilio, se ne impossessano, infatti, il Presepe venne utilizzato a scopi didattico-liturgici.
A partire dal Cinquecento si ebbe così in tutta Italia un’intensa produzione di presepi, quasi tutti per chiesa. In Piemonte ed in Lombardia sacre rappresentazioni con statue in pietra a grandezza naturale e con scenografia saranno costruite nei Sacri Monti di Varallo, d’Orta e di Varese. Nel Duomo di Modena esiste tuttora il bellissimo Presepe in terracotta di Antonio Begarelli del 1527, oltre quello di Guido Mazzoni, detto “Il Presepe della pappa”. Nelle Marche, ad Urbino e provincia (precisamente a Piobbico), sono custoditi due splendidi presepi dello scultore Federico Brandani. A Faenza, sempre nella prima metà del Cinquecento, comparvero dei creativi “calamai a Presepe” in ceramica colorata. A Leonessa (Rieti) “figulini” abruzzesi plasmarono un monumentale Presepe con ventisei statue, animali e cavalli, mentre in Puglia, ad opera dello scultore Stefano da Putignano, sorsero in chiese di varie località presepi con statue scolpite in pietra, ambientati in grotte costruite con rocce naturali .
Verso la metà del Cinquecento i gesuiti utilizzarono la tecnica dei manichini in legno snodabili in due presepi: quello di Praga del 1560, rappresentato solo dalla Natività, e quello di Monaco di Baviera nel 1605, un intero complesso presepiale esposto nella chiesa di San Michele. I manichini di legno snodabile furono introdotti a Napoli da due abili artisti: Michele Perrone e Pietro Ceraso. Di quest’ultimo è il Presepe più grande mai realizzato con tale tecnica, commissionato per la chiesa di Santa Maria in Portico.
Fu soprattutto a Genova ed a Napoli, tra il Seicento ed il Settecento, che il Presepe divenne una vera e propria forma d’arte.
A partire da questo periodo il Presepe si avvia ad uscire dalle chiese per fare il suo ingresso nelle case patrizie ed alto borghesi, come oggetto di adorazione o spesso d’arredamento, montato e rimontato di anno in anno.
Nel Settecento si assiste ad un’ulteriore novità: la trasformazione delle statue, in grandezza e materiale. Così dalle dimensioni piuttosto grandi in uso durante tutto il Seicento, si passa all’uso generalizzato delle «terzine», vale a dire figure alte circa quaranta centimetri. Queste statuine sono realizzate con arti di fili di ferro ricoperti di stoppa, permettendo ogni tipo di postura. I vestiti sono in stoffa, adornati con monili e muniti degli strumenti di lavoro tipici dei mestieri dell’epoca. Sempre nel Settecento si diffonde il Presepe con parti in movimento che ha un illustre predecessore in quello costruito da Hans Schlottheim nel 1588, per Cristiano I di Sassonia.
Il Presepe subirà l’influenza delle mode del tempo. Così al tempo del razionalismo illuministico la tradizione del Presepe quasi decade, mentre con il Romanticismo si presenta più sobria e meno spettacolare.
La diffusione a livello popolare si realizzò pienamente nell’Ottocento, con figurini più piccoli (15 20 centimetri) . Ogni famiglia in occasione del Natale iniziò a costruire un Presepe in casa riproducendo la Natività con statuine in gesso o terracotta, poi in plastica e altri materiali. La creatività, soprattutto nelle famiglie meno abbienti e in area rurale, permette la realizzazione di presepi realizzati con materiali di recupero: patate, pane, carte da gioco…
Il Presepe assume i caratteri tipici del luogo dove è realizzato, con le proprie fantasie ed i propri personaggi: nel Presepe napoletano troviamo Totò, in quello bolognese la Meraviglia, il Dormiglione e la Curiosa, in quello pugliese la grotta con le stalattiti, in quello austriaco lo spazzacamino, in quello brasiliano il lupo mannaro, e così via.
Ma quando si fa il Presepe? Tradizionalmente si realizza il 29 novembre, il giorno in cui l’inizio della Novena per l’Immacolata è annunciata dal suono delle zampogne. Per 9 giorni, davanti alla mangiatoia vuota, i zampognari suoneranno le loro melodie. Dopo l’8 dicembre le zampogne tacciono, per riprendere il 16 dicembre per la Novena di Natale. La notte di Natale il più giovane o il più vecchio della famiglia pone il Bambino nella mangiatoia. Nel frattempo inizia il viaggio dei Re Magi verso la grotta. A Capodanno li si fa giungere a metà percorso, mentre la mattina dell’Epifania li si pone in adorazione del Bambino. Il Presepe si toglie il 17 gennaio, giorno consacrato a Sant’Antonio Abate. Questo perché nel passato chi voleva, poteva affidare alle fiamme dei falò accesi in onore del Santo il vecchio presepe. Altre date per disfare il presepe erano il 2 febbraio festa della Purificazione o il 3 febbraio festa di San Biagio.
Una piacevole scoperta
Dipinto
Natività su trabaccolo da pesca – 2005
Casali Giuseppe (1946/)
Raccolta d’Arte Moderna di Cesenatico
Il fulcro della composizione del dipinto è la Sacra Famiglia, evidentemente rappresentata sul trabaccolo da pesca “Giovanni Pascoli” della sezione galleggiante del Museo della Marineria di Cesenatico e visto dalla sponda di ponente del porto canale. Sulla banchina sono raffigurate delle reti da pesca con i galleggianti e un pescatore seduto su di una bitta con accanto un cesto di vivimi pieno di “doni”. Sul pontile che porta all’imbarcazione un’altro pescatore si incammina verso il gruppo sacro. Sullo sfondo di un cielo notturno stellato è riconoscibile il campanile della chiesa parrocchiale.
Il dipinto della collezione comunale è una copia del quadro raffigurante la “Natività”, il cui originale è stato donato al pontefice Benedetto XVI. L’immagine del’opera è stata utilizzata dal Comune di Cesenatico per una cartolina ricordo del Natale 2005 del “Presepe della Marineria“.
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Chi cerca trova
Sfidiamo i visitatori ad una caccia al tesoro digitale nei musei dell’Emilia-Romagna, alla ricerca di immagini, oggetti, opere sul tema del Presepe. Basterà taggare la nostra pagina usando l’hashtag #patercaccialtesoro e il tag alla pagina di IBC Emilia-Romagna..