Villa Ferniani
loc. Errano
Faenza (RA)
La villa si sviluppa su due piani, con un corpo centrale più alto e più profondo e due ali laterali simmetriche. Accanto ad essa, nell’Ottocento, fu realizzato un grande oratorio dotato di cupola e campanile, anche con funzioni di cappella di famiglia. Negli stessi anni fu realizzato il grande parco circostante con tigli, querce e maestosi filari di pino. Alle spalle della villa è presente un fondale roccioso che ospita alcune strutture di servizio come la ghiacciaia, le scuderie e la limonaia.
All’interno della dimora storica di famiglia, il piano nobile è riservato all’abitazione mentre il piano terra è stato allestito in forma di museo secondo la volontà di Carlo Ferniani, a partire dalla seconda metà del secolo scorso. Da qui, attraverso un imponente salone di ingresso, si accede alla visita di sette sale che contengono circa milleduecento pezzi di maioliche in forma di stoviglie, di sculture, di vasi, di specchiere e perfino di mobili.
Il conte Annibale Ferniani, con notevole spirito imprenditoriale, nel 1693 aveva infatti acquistato un’officina ceramica in declino e l’aveva rilanciata avvalendosi di artisti di primissimo ordine. La fabbrica, che si trovava a Faenza nell’attuale corso Mazzini, di fronte a quello che è oggi l’ospedale, fu attiva fino al 1893 e nella villa di Errano è ora possibile ammirarne il campionario.
Un’enorme specchiera di ceramica bianca e blu accoglie i visitatori all’ingresso e abbaglia con la lucentezza del suo smalto, che riprende la tecnica della terracotta invetriata sviluppata nel Quattrocento dai Della Robbia. Sulla specchiera svetta lo stemma di famiglia, ossia l’aquila che vola sopra il mare, sormontata dalla corona comitale.
Seguono alcune sale dedicate ai servizi da tavola, che ebbero un eccezionale successo e che portarono la Fabbrica Ferniani a confrontarsi con le più celebri manifatture del Settecento: Ginori, Capodimonte, Meissen. Una sala è dedicata al “garofano”, decoro estremo-orientale derivato dalla porcellana giapponese, ma reinterpretato dai ceramisti faentini e tuttora replicato. Un’altra al grande pittore Filippo Comerio, allievo di Vittorio Bigari, prestato al disegno su ceramica proprio in occasione del suo breve impiego alle Ferniani: le sue figure verdi e nere, appoggiate ad antiche rovine, ricordano le incisioni di Piranesi o le acqueforti di Callot. I decori a piccolo fuoco ‘verde Comerio’ rientrano sicuramente tra gli elementi più preziosi della collezione.
Ancora da segnalare, tra centinaia di piccoli oggetti che tolgono il fiato per precisione del disegno e lucentezza dei materiali, il trumeau, un mobile con cassetti fatto interamente in ceramica a smalto turchese, e il monumentale Caino e Abele realizzato da Raffaele Collina Graziani, un grande pannello di ceramica bianca e blu la cui forza espressiva è coniugata ad un solenne classicismo.
Proprio con questi ultimi pezzi unici, creati per sbalordire, la Fabbrica partecipò nella seconda metà dell’Ottocento alle esposizioni universali di Londra, Vienna e Parigi, raggiungendo un pubblico e una fama internazionale. Fu costretta alla chiusura alla fine del secolo, con l’avvento delle produzioni industriali e la diffusione massiccia della porcellana.