Settore Patrimonio culturale - Assessorato alla cultura e paesaggio della Regione Emilia-Romagna
Fototeca
Il palazzo subiva diversi cambi di proprietà, nel corso del tempo: dai Tanari ai Ranuzzi, committenti di una prospettiva del Mitelli, perduta, di fronte alla loggia d'ingresso. Nel 1804 subentrò il marchese Francesco Scarani, quindi la famiglia Zucchini e i Bevilacqua; dal 1931 gli Zerbini, i Pellegrini-Quarantotti e infine i Gamberini. Al cantiere Bonasoni sono riconducibili alcune decorazioni dove si scorgono allegorie e paesaggi riconducibili, in generale, alla cultura di Niccolò dell'Abate; mentre i soffitti delle sale ottocentesche (committenti i marchesi Scarani?) scanditi da muse, inquadrate insieme a putti da ornamentazioni neo rococò, attribuiti da Landi a Girolamo Dalpane, autore degli affreschi nei palazzi Spada e Malvezzi dè Medici. Infine, la Venere in marmo adagiata in una nicchia aperta sul cortile: l'opera troverebbe riferimenti stilistici nell'ambito di Cincinnato Baruzzi e più precisamente nel suo allievo Carlo Monari, a cui la scultura è attribuita da Claudia Collina, e si daterebbe all'ottavo decennio dell'Ottocento, come inducono a ritenere stilemi classicisti volti a una definizione in senso verista, colta soprattutto nei dettagli.
Collina C. (a cura di), I luoghi d'arte contemporanea in Emilia-Romagna: arti del Novecento e dopo - 2. ed. aggiornata, Bologna, Clueb, 2008.
Benati Davide
Karini Maria Assunta
Pulini Massimo
Renzini Andrea
Zamboni Alberto
Violetta Antonio
Moncaleano Luka
Schifano Mario
Fabbri Massimiliano
Bernardoni Pinuccia
Manfredini Giovanni
Aldrovandi Alessandro
Andersen Karin
Amadori Carlo
Fabbri Massimiliano
Carboni Luigi
Dorazio Piero
Andersen Karin
Favelli Flavio
Giurato Alfio
Gligorov Robert
Guerra Tonino
Heck Kati
Mainolfi Luigi
Nanni Luciano detto Nanni Menetti
Morley Simon
Nanni Mario
Pozzati Concetto
Renner Paul
Mandémory Boubacar Touré
Bologna (BO)
Arte concettuale
Arte astratta
Multimediale
L’Istituto, ora Settore, ha sede dal 2004 a palazzo Bonasoni, dimora storica situata in via Galliera 21, che sorge sulle antiche case dei Caccianemici dall’Orso, importante famiglia cittadina ricordata nel toponimo della strada contigua.
Gli artisti coinvolti furono: Pinuccia Bernardoni, Maria Assunta Karini, Davide Benati, Nanni Menetti, Massimo Pulini, Antonio Violetta, Mario Nanni, Alberto Zamboni, Luka Moncaleano e Andrea Renzini.
Con lo stesso spirito sono state successivamente donate, stratificandosi sulle pareti e negli spazi del palazzo la Tenda al mare dedicata al 150° dell’unità d’Italia realizzata da Tonino Guerra e donata dall’Amministrazione comunale di Cesenatico anche come segno di gratitudine al sostegno culturale offerto negli anni alla fortunata rassegna; la donazione di 17 opere d’arte contemporanea dell’imprenditore mecenate Francesco Amante in occasione della nascita del Servizio Patrimonio culturale nel 2020.
In particolare, la collezione Amante riguarda opere di pittura, tecniche miste e fotografia. Simon Morley (1958, Eastbourne, UK) indaga sui rapporti tra la città e la cultura comunista tra gli anni '40 e gli anni '50; l’austriaco Paul Renner (1957) immette nei suoi dipinti elementi fantastici, onirici e visionari; Kati Heck (1979 Dusseldorf) crea i propri dipinti attraverso l’assemblaggio di figure, oggetti e simboli, che insieme sembrano narrare una storia enigmatica; l’artista macedone Robert Gliglorov (1959) cerca di generare shock nel visitatore, creando un corto circuito sensazionalistico tra reale e immaginario, volendo scandalizzare o addirittura disturbare; Boubacar Touré Mandémory (1956, Dakar) sviluppa la sua ricerca intorno ai principali rapporti e allo studio accurato dei gruppi etnici del Senegal e dei paesi vicini, contribuendo al riconoscimento della fotografia senegalese al di fuori dei confini nazionali; Emil Lukas,(1964, Pittsburgh, USA) attraverso l'uso sperimentale di materiali organici e inorganici, arriva a generare una complessità formale ottenuta mediante processi di scoperta e sperimentazione; Alfio Giurato (1978) presenta nei suoi lavori un garbo assoluto nell'“astrazione” di un corpo che mantiene la struttura di matrice classica; Luigi Mainolfi (1948) non risulta smentito nemmeno dalle sue opere bidimensionali che possono essere definite sculture piatte concettuali. I suoi "Tentativi di esistenza" diventano autoritratti catartici dell'artista, particolarmente emozionanti, soprattutto in relazione alla vicenda biografica; Flavio Favelli (1967) si contraddistingue anch’egli per la forte componente autobiografica di cui le sue opere relazionali e concettuali si caricano, intrecciandosi alle vicende collettive della storia; Francesca Galliani (1962) è da sempre interessata a tematiche sociali di grande attualità, come la violenza sulle donne e i diritti della comunità transgender; Alessandro Aldrovandi (1968) trae linfa dalle istanze della pittura segnica e negli ideogrammi orientali; Luigi Carboni (1957) riflette frequentemente sul concetto di griglia e di struttura reticolare, mostrando la forza organizzativa della superficie dei suoi dipinti; Karin Andersen (1966, Burhausen, D) le cui figure pongono di fronte al nostro sguardo la questione del rapporto con l'alterità, presentandosi come corpi sospesi, ambigui, diversi, forse provenienti da altri pianeti, o umanoidi che fanno pensare sull’attuale condizione umana.
Dal 5 maggio 2021 sempre a Palazzo Bonasoni è presente l’opera Trittico di Pinuccia Bernardoni, donata alla Regione Emilia-Romagna. L'opera, allestita nell'atrio del palazzo, è stata realizzata dall’artista nel 1990, in una fase della sua ricerca in cui l’artista esplora le possibilità espressive della lamiera di ferro. I lavori di questo periodo nascono dall’esigenza di Bernardoni di uscire dall’elemento carta, utilizzato nella fase precedente del suo percorso, iniziando dapprima a impiegare ferro e carta, per poi arrivare alle prime forme completamente di ferro. Se nelle opere in carta e ferro Bernardoni ricercava le corrispondenze tra pelle e ossatura, tra la componente morbida della carta e la componente dura del ferro sul quale la carta si piega, approdando all’uso del ferro la sua riflessione cambia e si concentra sui valori che questo materiale è in grado di evocare; il ferro nega la sua stessa pesantezza e acquisisce un senso di leggerezza, svuotandosi e ripiegandosi su se stesso, attraverso un processo frutto di una precisa progettualità che la avvicina alla Process Art e in particolare a Eva Hesse.