via Galliera, 21
Bologna (BO)
tela/ pittura a olio
sec. XXI (2006 - 2006)
Artista tra i più internazionali dei giovani del nostro territorio regionale, Alberto Zamboni trova nella fantasia e nel valore della memoria, come lo scrittore francese George Simenon di cui è un cultore, l'organizzazione spaziale della sua immaginazione proiettata sul quadro quale forma simbolica delle sue idee, dipinta con brumosa emotività: "per me il paesaggio è un teatro, un enorme palco smisurato dove può succedere di tutto. Ma dove potrebbe anche non accadere nulla" (Zamboni). E, allora, quante fantasie ispira una poltrona vissuta? 'Assenze notturne', 'attese', 'figure e immagini' che vi si siedono, sostano, si alzano guardando 'orari' in stazioni 'per tutte le altre destinazioni', nella ricerca di un 'altrove' che altro non è che un'esplorazione personale dell'artista nella dimensione del tempo ed in atmosfere che seducono la sua sensibilità verso il mistero, catturate dalla luce del colore e dalla sospensione lirica che egli, sapientemente, sa evocare con la sua percezione interiore della realtà.
L'ispirazione artistica di Alberto può apparire, ad un primo sguardo, desunta dai lavori di Gerhad Richter (Beatrice Buscaroli), ma una seconda osservazione dei suoi dipinti dimostra, sì, la conoscenza del tedesco, ma più per quanto concerne la condivisione dei valori e dell'importanza della storia e del suo scorrere tradotte in immagini, ma anche l'evidenza della distanza metodologica ed evocativa che Alberto Zamboni opera nella totale assenza di riferimenti fotografici; e usando la tela e i colori come unica membrana osmotica tra il proprio sé e il mondo, sottolineando l'assenza di concettualità e proiettandosi verso, piuttosto, alchimie visionarie intessute di storie quotidiane e mistero.
Zamboni, stanziale e nomadico al contempo, sulla scorta della tradizione e figlio della contemporaneità, ha voluto tornare ad una pittura sentimentale tout court sprigionante, come un racconto letterario padano immerso in 'orizzonti di bruma', energia lirica di "stratificazioni della memoria e di sedimentazioni della materia, una 'physis' indissolubilmente unita ad una 'humanitas'" (Ezio Raimondi). E, infatti, Silvia Evangelisti coglieva con precisione analogica la poetica dell'artista, in "Apparenze", sottolineando come essa fosse il risultato di una selezione di emozioni di un 'diario privato', una sorta di "deposito visivo che fonde la visione con la memoria che di essa si sedimenta: un deposito che è, sì, frammento d'immagine, ma è soprattutto visione emozionale [.] che il codice linguistico impiegato - la pittura - rende duratura".
In un equilibrio straordinario tra enunciazione e narrazione, i soggetti di Zamboni si pongono tutti come astanti, rivestendo sincronicamente sia il ruolo aspettualizzatore d'inizio di messa in opera del discorso narrativo, sia il ruolo focalizzatore per lo svolgimento del racconto, indicato nel significato anche dai titoli, non secondari, delle sue opere. Ed è in questo equilibrio che egli può ricreare l'atmosfera fluida e sospesa dell'attimo, che diventa un modo temporale imperfetto, presente e futuro semplice al contempo. Un esistenzialismo lirico quello della pittura di Zamboni che, con una gamma monocromatica a tre variazioni - casualmente omologa a quella delle diverse intensità dei pixel blu, verdi e rossi che formano le immagini a colori elettroniche - in cui la luce, densa ed atmosferica, è la vera protagonista che assorbe o ri/vela le forme prescelte dal pittore, e dove aleggiano ambiguità e stranezza necessarie alla suspence e alla percezione del fantastico che perturba la familiarità dell'esistenza quotidiana: come nel racconto di Guy de Maupassant, Qui sait?, in cui la mobilia della casa si anima improvvisamente, le ombre degli oggetti degli esseri umani e dei paesaggi di Zamboni rendono, a lui e a noi, irreale e speciale la normalità del vissuto, per mezzo della sua verità psichica e dell'abilità della sua pittura.